Anime Review | Uchū no kishi Tekkaman Blade

Uno degli aspetti positivi di questa quarantena è stato sicuramente quello di aver ritrovato un po’ di tempo per poter guardare alcune opere che delle quali non avevo completato la visione. Uchū no kishi Tekkaman Blade (宇宙の騎士テッカマンブレード, Uchū no kishi Tekkaman Burēdo; trad. Tekkaman Blade, il cavaliere dello spazio) era una di queste e probabilmente non potevo chiedere di meglio. Il nuovo cavaliere dello spazio creato da Tatsunoko Production, remake del celebre Uchū no kishi Tekkaman del 1975, nasce nel 1992 dando inizio al filone di remake dei celebri supereroi che hanno reso gloriosa la casa dell’ippocampo (l’anno successivo infatti sarà il turno di Casshern, il 1994 dei Gatchaman e infine il 1996 di Shin Hurricane Polimar), presentando uno staff di alto livello che includeva animatori del calibro di Masami Suda (須田 正己, Suda Masami, Hokuto no Ken fu uno dei suoi cavalli di battaglia ma il suo nome è principalmente legato ai grandi supereroi Tatsunoko come Polimar, Gatchaman e lo stesso Tekkaman), Masami Ōbari (大張正己, Ōbari Masami, reduce dal suo DETONATOR ORGUN del 1991 che gli fornì l’ispirazione per la creazione di Blade, al grande mecha designer è stata affidata l’animazione delle sigle di apertura) e la sua ex moglie Atsuko Ishida (石田敦子, Ishida Atsuko, validissima mangaka apprezzata sicuramente dagli amanti delle Brave Series e del Magic Knight Rayearth creato dalle CLAMP). Decisa a non replicare il flop del 1975 che costrinse Tatsunoko a chiudere Tekkaman dopo soli 26 episodi, la casa produttrice decide di affidare la sceneggiatura a Hiroshi Negishi (ねぎし ひろし, Negishi Hiroshi, Chōon senshi Borgman e NG kishi Lamune & 40 tra le opere che lo hanno visto come membro dello staff) e Mayori Sekijima (関島 眞頼, Sekijima Mayori, membro dello staff in opere come Bounty Dog e Zegapain, che collaborerà proprio con Negishi in NG Knight Lamune & 40). Il risultato del lavoro operato dalla coppia Negishi-Sekijima, darà vita a quello che probabilmente sarebbe dovuto essere il Tekkaman classico, un supereroe che pur non essendo perfetto e invincibile lotta contro il suo stesso destino in un mondo che sembra ormai condannato all’estinzione totale.

Tekkaman Blade in un frame tratto dalla sigla di apertura.

 

La sceneggiatura riprende diversi punti base della serie classica come il trio protagonista, con D-BoyAki Kisaragi e Noal Vereuse che vanno a ricoprire i ruoli di Jōji Minami, Hiromi Amachi e Andrō Umeda, Heinrich Von Freeman a ricoprire il ruolo di Sōzō Amachi in una veste benevola ma dal carattere glaciale rispetto al celebre scienziato degli anni ’70 e la nave Argos che ricopre lo stesso ruolo della nave Space Angel distrutta dai Wardaster (Waldaster nell’adattamento italiano) nel primo episodio del 1975. Questi punti cardine getteranno le basi di una storia che sarà ambientata in un mondo inizialmente opposto a quello del primo Tekkaman. Nella serie classica – gli appassionati cresciuti negli anni ’80 sicuramente ricorderanno bene – l’ambientazione dell’opera è quella di un Pianeta Terra ormai prossimo al collasso, distrutto dall’inquinamento e martoriato dalle radiazioni, tuttavia in Tekkaman Blade abbiamo inizialmente l’esatto opposto con un mondo immerso nel benessere economico, tecnologico e interamente volto al progresso – nonostante la costante minaccia degli ideali militaristi rappresentati dal Generale Colbette – ma solo successivamente ritrovatosi sull’orlo dell’estinzione a causa dei Radam. La distruzione, o più precisamente l’autodistruzione, è a mio parere il focus principale dell’opera, non solo perché il mondo pur essendo stato invaso dai Radam viene distrutto dalle sue stesse armi (i cannoni laser installati sullo Orbital Ring), ma anche perché il tema dell’autodistruzione ruota perennemente attorno al protagonista principale della storia, D-Boy (la cui vera identità verrà rivelata quasi a metà storia). Perché autodistruzione? Fin dall’inizio, D-Boy cancella se stesso di sua spontanea volontà, dal suo nome al suo passato – dal quale non può sfuggire – la sua unica ossessione è la distruzione completa dei Radam, gli esseri che hanno cambiato la sua esistenza e annientato i suoi affetti più cari facendolo precipitare in un abisso (parafrasando il bravissimo Jacopo Nacci) apparentemente senza fine. Tuttavia, proprio mentre D-Boy affonda in questo abisso, la sua ancora di salvezza – quella che non permetterà al Tek System di prendere il controllo della sua mente – è rappresentata dal gruppo degli Space Knights e in particolar modo da Aki che senza ombra di dubbio rappresenta l’unica luce capace di tenere viva la sua anima. Entrando a far parte degli Space Knights, D-Boy decide automaticamente di mantenere la sua umanità, rifiuta di diventare un’arma in mano di Colbette e ancor più di diventare una marionetta dei Radam e di Tekkaman Omega. Per il personaggio è dunque l’inizio di un cammino di crescita interiore che verrà alimentato sia dall’amore di Aki, ma anche dalla rivalità con Noal, i saggi consigli di Honda (corpulento meccanico i cui lineamenti ricordano Saburō Kamo di Gatchaman F) e la semplicità di Milly – che gli riporta alla mente sua sorella Miyuki – ma che allo stesso tempo non impedirà il chiudersi del cerchio autodistruttivo in cui D-Boy si trova. Finora, Tekkaman Blade potrebbe apparire come uno show che ruota attorno a D-Boy, ma la peculiarità di quest’opera è anche l’ottima caratterizzazione dei personaggi secondari e in particolar modo quelli di Balzac Asimov e il membro degli Space Knights Rebin. Balzac nasce come personaggio infimo, un contenitore ripieno del suo rancore e sconvolto dalla sua difficile adolescenza nelle slum di New York, che vede i suoi reati diventare la principale fonte di sostentamento della sua ambizione nel ruolo di agente segreto dell’Alleanza, un’ambizione destinata a consumarsi dopo aver incrociato il cammino di D-Boy e quello dei personaggi che faranno nascere in lui una nuova persona. Il cammino di Balzac per certi aspetti è parallelo a quello di D-Boy, entrambi avvolti dall’oscurità, entrambi salvati dall’amore e entrambi al centro di quel cerchio autodistruttivo che caratterizza l’opera. Il personaggio di Rebin è invece un personaggio innovativo, considerando che l’opera è stata prodotta nel 1992. Se oggi, nel 2020, sentire parlare di diritti LGBT è qualcosa che non crea più tanto scalpore, nel 1992 era probabilmente ancora presente quell’alone di taboo intorno all’argomento e il personaggio di Rebin lo porta alla luce con fermezza. Rebin infatti è un uomo, ma fin dalla sua infanzia si è sempre sentita una donna, motivo per il quale il personaggio veste quotidianamente in abiti femminili e si comporta come un normale essere umano di sesso femminile. Il suo incontro con un personaggio che vive una condizione opposta alla sua (è donna ma decide di vestire abiti maschili perché altrimenti i suoi commilitoni si rifiuterebbero di seguire gli ordini impartiti da un superiore che non è di sesso maschile), metterà ancora più in luce il dibattito nascosto sulle identità sessuali (dibattito che ovviamente non è inedito nell’animazione giapponese se citiamo tra le varie opere il Versailles no bara di Riyoko Ikeda), ma soprattutto metterà in risalto la rivendicazione del proprio io da parte del personaggio e l’accettazione della sua identità sessuale da parte dei personaggi che interagiscono con lei. Infine tra le colonne portanti della storia, secondo la mia visione dell’opera, non potevano mancare i membri della Argos, connessi fin dall’inizio al protagonista principale, poiché costituiscono la vera essenza di tutto Tekkaman Blade. In un’opera dai contorni apocalittici, gli eventi che colpiscono i membri della Argos e in particolar modo tutta la famiglia Aiba, costituiscono la narrazione di una vera e propria tragedia di famiglia a cui nessun membro dell’equipaggio della nave riesce a sfuggire. Quello che infatti doveva essere un viaggio epocale per la storia dell’umanità, si trasforma in un incubo senza fine che vedrà protagonisti assoluti Tekkaman Blade e Tekkaman Evil, fratelli gemelli ma completamente opposti in tutto e per tutto. Blade è la luce, Evil è l’oscurità, un uomo sprofondato in un abisso – quello di quest’ultimo – che complice il sopravvento del Radam sulla sua mente, mette in risalto tutti i complessi di inferiorità patiti da Shin’ya nei confronti di Takaya. Tutti i Tekkaman si ritroveranno a essere parte di un feroce scherzo del destino che li vedrà perennemente connessi tra loro, soprattutto quando nella seconda parte della storia il passato di Blade verrà finalmente rivelato. Interessante anche l’approccio dei personaggi con l’essenza del Tekkaman. Per i Tekkaman nemici la loro armatura è un simbolo di onnipotenza (dovuto anche all’influenza psichica dei Radam), ma per D-Boy ha un risvolto dalle due facce: è il simbolo della tragedia che si è abbattuta su lui e la sua famiglia, ma è anche l’arma indispensabile per la sua vendetta e la salvezza del mondo intero, motivo per il quale deciderà di portare al massimo il potere della sua corazza cancellando la sua persona per l’ennesima volta.

I sosia di Jōji Minami e Hiromi Amachi in un cameo tratto dall’episodio 48.

 

Sotto l’aspetto delle animazioni, ho trovato l’opera di alta qualità ad eccezione di alcuni episodi, la mano dei diversi autori (a partire da quella impeccabile di Tomonori Kogawa), ha un forte impatto visivo e regala allo spettatore diversi cameo tra i quali alcuni richiami a Hokuto no Ken (le scorribande del gruppo degli Hyenas, per “casuale coincidenza”, sono animate proprio da Masami Suda) e dei sosia del trio protagonista della serie classica (un sosia di Andrō Umeda nei panni di un operatore a bordo dello Orbital Ring e un sosia Jōji Minami nei panni di un operatore addetto all’ordine di accesso delle persone sullo Orbital Elevator, il quale dopo aver salvato il figlio di una sosia di Hiromi Amachi, incoraggia il bambino affidando il destino dell’umanità a Tekkaman Blade). In conclusione, ho personalmente trovato Uchū no kishi Tekkaman Blade una spanna sopra il suo omonimo classico, ed è un vero peccato che in Italia sia giunta la versione americana (Teknoman) realizzata con i soliti taglia e cuci, censurata e con i nomi americanizzati. La visione della versione giapponese, quella integrale, è da me altamente consigliata sia agli amanti dell’animazione anni ’90, sia ai fan del buon vecchio Tekkaman al fine di trarne poi un personale metro di paragone.

Ultimo aggiornamento eseguito il: 14/11/2022

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